lunedì 2 maggio 2016

UN CICLISMO GLOBALE: SERVE DAVVERO?

Ora che entriamo nel vivo della stagione, con l’inizio delle Classiche del Nord e del Giro d’Italia, il ciclismo si riappropria di quello che è il suo habitat naturale, cioè l’Europa.
Siamo sempre meno abituati a seguire il ciclismo a casa nostra, perché negli ultimi anni il movimento si è spostato parecchio, seguendo il profumo dei soldipiuttosto che il cuore dei suoi appassionati.
Oggi con il Giro delle Fiandre e domenica prossima con la Parigi-Roubaix, questo sport torna nelle sue terre d’origine, dove tutto è iniziato fin dai primi anni del ‘900 e anche prima. Una storia che non può essere cancellata dal denaro né tanto meno dalle noiose formule di gara alle quali l’Uci ci sta abituando sempre più, specialmente ad inizio stagione.
Si corre in Qatar, in Oman, in Thailandia e ancora in altri luoghi che non sono mai appartenuti al ciclismo.
Però in questo periodo di grande crisi le squadre sono costrette ad andare dove chiedono gli sponsor, per ovvie ragioni.
Esempio lampante di come siano i soldi a comandare sono i prossimi Campionati del Mondo che
si svolgeranno proprio in Qatar, tra il caldo asfissiante e un circuito totalmente piatto che rispecchia i tempi che, purtroppo, corrono.
Ma se guardiamo quelli che sono gli interessi dei corridori a prendere parte a queste gare, si capisce facilmente che sono pochi i fattori positivi.
Fabian+Cancellara+Eddy+Merckx+Tour+Oman+Stage+RS8QJptDb8dl
Fabian Cancellara si confronta con Eddy Merckx sule condizioni meteo al Giro dell’Oman 2015. Il caldo asfissiante mette a rischio la salute dei corridori, costretti a correre ad ogni latitudine nonostante le temperature proibitive. 
In primis ci sono il caldo spesso insopportabile (che supera anche i 40°) e i fusi orari che per gli atleti sono sempre difficili da assimilare, con lunghi viaggi e tutti gli stress che ne derivano.
Inoltre, la stagione che una volta andava da metà Gennaio a metà Ottobre non esiste più. Si corre da Gennaio a Novembre, senza tregua. L’inverno è sempre più corto, i mesi di gare si allungano e questa potrebbe anche sembrare una cosa buona, ma il punto è: tutte queste corse aiutano davvero il movimento?
Perché se Fabio Aru è costretto a correre il Tour of Almaty (che si svolge in Kazakistan, sede dell’Astana) dovendo rinunciare nello stesso giorno al Giro di Lombardia, classica Monumento, c’è qualcosa che non funziona. Questo è solo uno dei tanti esempi di come il denaro degli sceicchi e dei miliardari di altri continenti riesca con così poco a snaturare le corse, i loro partecipanti e infine lo spettacolo.
Ultima cosa: gli spettatori.
Siamo confusi e spaesati, ci sono troppe corse nello stesso giorno in troppe parti del mondo e diventa difficile per noi appassionati seguire il tutto, con il rischio di “perdersi” le cose più belle.
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I grandi Campioni sono sparpagliati in più competizioni e questo ci priva di quello che alla fine è il fuoco del nostro sport: i duelli, godere osservando i migliori battersi per una vittoria nella stessa corsa. E non solo al Tour de France o alla Liegi, ma anche in tutte le altre gare minori che rischiano di essere soffocate dalla crescita costante di gare senza senso. Perché vedere Nibali vincere in salita è sempre emozionante, ma se l’arrivo è una semplice linea bianca tracciata su una sperduta salita in Oman, con 4 persone all’arrivo, questo ciclismo sta davvero sbagliando qualcosa.

Jacopo Billi

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