La settimana appena passata è stata intensa, i suoi protagonisti sono stati sicuramente la Milano Sanremo e molte altre corse di alto livello, ma oggi vi voglio parlare di un altro mondo, quello dello sterrato.
Ogni anno a Marzo in Sudafrica si corre quella che è considerata forse la gara a tappe più dura del mondo in Mtb, la Cape Epic, organizzata ormai da 12 anni a questa parte. Sulle strade dell’estremo Sud Ovest del Continente Nero si sfidano ogni anno i migliori specialisti della mountainbike, partendo da Meerendal Wine Estate e percorrendo 654 km in 8 giorni (prologo più 7 tappe) attraverso l’arido paesaggio africano.
Ricordo quando qualche anno fa osservando le
immagini alla tv mi chiedevo come facessero quei bikers a percorrere tutti quei km in così pochi giorni, ma la cosa che mi colpiva di più era il fatto che il percorso fosse quasi interamente sterrato.
Ogni volta che riguardo le foto o i video della Cape Epic e osservo i volti coperti di polvere e le bici completamente sporche di terra mi tornano in mente le stagioni passate con la mtb, anche se qui si parla di una cosa ancora diversa, quasi estrema.
immagini alla tv mi chiedevo come facessero quei bikers a percorrere tutti quei km in così pochi giorni, ma la cosa che mi colpiva di più era il fatto che il percorso fosse quasi interamente sterrato.
Ogni volta che riguardo le foto o i video della Cape Epic e osservo i volti coperti di polvere e le bici completamente sporche di terra mi tornano in mente le stagioni passate con la mtb, anche se qui si parla di una cosa ancora diversa, quasi estrema.
Quest’anno ci sono alcuni italiani che si sono difesi alla grande, con vari piazzamenti nella top ten di giornata e in classifica generale. Il panorama italiano delle Marathon sta vivendo una vera e propria rinascita proprio negli ultimi due anni dopo un lungo perido di crisi durante il quale mancavano i risultati di spessore.Fabian Rabensteiner e Ivan Alvarez Gutierrez hanno fatto una corsa coraggiosa e di alto livello, sempre a ridosso dei migliori, mentre Samuele Porro eDamiano Ferraro si sono superati portando a casa addirittura una delle 8 tappe. Una vittoria che ha dell’incredibile per chi sa cosa significhi saper affrontare le difficoltà che si incontrano in una corsa del genere.
Infatti vi posso assicurare che è dura, durissima, attraversare quelle pianure africane con il sole che ti picchia dritto sulla testa e il sudore che si mescola alla polvere. Centinaia di km percorsi a piedi spingendo la bici oppure la sabbia che si attacca al sangue di qualche caduta coprendo i corridori di una “patina” dorata, tendente al rosso, sono tipici simboli distintivi della corsa africana.
Forse però la cosa più bella è che in questa gara non sei mai solo, perché si corre a coppie. Potrai sempre contare sul tuo compagno di avventura, qualsiasi cosa ti accada, che si tratti di una caduta, di un guasto meccanico o di una crisi di fame, qui i problemi si risolvono insieme.
Si parte in due, si fatica in due, si vince e si perde sempre in due.
Forse però la cosa più bella è che in questa gara non sei mai solo, perché si corre a coppie. Potrai sempre contare sul tuo compagno di avventura, qualsiasi cosa ti accada, che si tratti di una caduta, di un guasto meccanico o di una crisi di fame, qui i problemi si risolvono insieme.
Si parte in due, si fatica in due, si vince e si perde sempre in due.
Mi ricordo quando qualche anno fa Jakob Fuglsang e Roel Paulissen, allora in coppia alla Cape Epic, fecero un bel numero pur di finire la tappa senza perdere troppo tempo prezioso. Il danese bucò irrimediabilmente al posteriore e non avendo più camere d’aria di scorta percorse gli ultimi km di strada sterrata guidando la bici con la ruota dietro senza copertone. Ricordo la bici instabile e il cerchio sempre più fragile mentre Paulissen, al suo fianco, spingeva il compagno con le ultime energie rimaste.
Una scena epica degna della gara più dura del mondo, in uno dei posti più belli del mondo.
Una scena epica degna della gara più dura del mondo, in uno dei posti più belli del mondo.
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