Mentre Vincenzo Nibali perdeva le ruote e soffriva per restare a galla, la sua espressione sembrava dire: chi diavolo è questo Kruijswijk che mi fa soffrire tanto? Chi è che prova a portarmi via i sogni, e il Giro? Il mio Giro…
Non è un sogno, forse solo un incubo.
Ma il modo in cui Steven Kruijswijk domina ogni istante della corsa fino alla caduta e alla seguente crisi della terzultima tappa è superlativo, naturale, leggero. Lo scorso anno, sempre al Giro, se ne stava lì nascosto tra i grandi della corsa rosa, incline alla fatica come tutti ma con l’aria di chi sa di stupire, forse proprio perché nessuno se l’aspettava così avanti e così sicuro di se stesso.
Ma il modo in cui Steven Kruijswijk domina ogni istante della corsa fino alla caduta e alla seguente crisi della terzultima tappa è superlativo, naturale, leggero. Lo scorso anno, sempre al Giro, se ne stava lì nascosto tra i grandi della corsa rosa, incline alla fatica come tutti ma con l’aria di chi sa di stupire, forse proprio perché nessuno se l’aspettava così avanti e così sicuro di se stesso.
Il Giro è partito dalla sua Olanda, terra della quale lui porta i segni più evidenti. Le lentiggini e la pelle chiara, i capelli rossi e quelle due spalle enormi che
lo fanno quasi sembrare, per certi aspetti, un passista. Uno di quelli che nelle vaste pianure del Nord Europa mettono il gruppo in fila, sfidando il vento.Invece Steven asciutto, magro, e decisamente destinato ad affrontare le montagne.
Ma si vede da lontano che è uno sveglio, ansioso di farsi spazio dopo i primi anni di lavoro e di esperienza. Questo è stato il suo sesto Giro d’Italia e probabilmente ogni anno sente un richiamo forte dall’Italia, sente che in questa terra può lasciare il segno. E lo ha fatto quest’anno, nel bene e nel male, dominando e poi soffrendo, nel finale, con la sicurezza dei grandi. Lui che è stato capitano di una nave (la Lotto NL-Jumbo) che giorno dopo giorno andava a fondo mostrando grandi lacune.
Ma andando avanti ha vissuto la corsa “day by day”. Ha stupito mandando al tappeto Landa, Nibali, Valverde, i favoriti, gli squadroni che sono arrivati in Italia attrezzati e con gli uomini giusti per ogni tipo di terreno. Salvo poi arrendersi ad un Nibali superbo e agli acciacchi di un volo tremendo nella discesa dell’Agnello.
Si è trovato quasi sempre solo, a volte con l’appoggio di Battaglin che poi scalatore vero non lo è mai stato.
Ma Steven non è sbucato dal nulla, e nonostante i media non gli abbiano dato peso almeno fino alla conquista della “rosa”, lui c’è sempre stato. Si è preparato a puntino, è andato sul Teide e si è ammazzato di lavori, su e giù dal vulcano, in uscite anche fino a 7 ore senza mai perdere di vista l’obiettivo, sicuramente rassicurato dal 7° posto dello scorso anno e dall’8° del 2011.
Non un campione vero, fino a questo momento, ma sempre un ottimo corridore che forse non ha mai avuto alle spalle la squadra giusta per questo tipo di corse.
Non un campione vero, fino a questo momento, ma sempre un ottimo corridore che forse non ha mai avuto alle spalle la squadra giusta per questo tipo di corse.
Pochi ci credevano, ma lui sicuramente l’ha sempre fatto.
In silenzio e un po’ nascosto, come piace a lui.
E chissà che quelle spalle così larghe e grosse non gli siano state donate dalla natura proprio per portarsi addosso il peso di una nazione intera, la sua Olandache da tanto tempo aspettava una maglia rosa. Comunque sia andata a finire, bravo Steven, bravo davvero.
In silenzio e un po’ nascosto, come piace a lui.
E chissà che quelle spalle così larghe e grosse non gli siano state donate dalla natura proprio per portarsi addosso il peso di una nazione intera, la sua Olandache da tanto tempo aspettava una maglia rosa. Comunque sia andata a finire, bravo Steven, bravo davvero.
Jack
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